Invasioni barbariche

In occasione della ricorrenza della morte di Zbigniew Herbert, avvenuta esattamente dieci anni fa, vorremmo proporre alcune delle poesie di questo celebre poeta polacco, cercando di tracciare un nesso tra la storia di ieri e la storia di oggi, tra imperialismi del passato e imperialismi del presente, tra cultura tecnica positiva e cultura umanistica negativa, tra buono e cattivo, tra vero e falso; ricordando un uomo che ha sofferto tutti questi "ismi" che ancora oggi non sembrano scomparsi, bensì riproporsi in nuove vesti; costretto a chiudersi in quella cosiddetta "emigrazione interna", vivendo il proprio malessere dinanzi al vuoto etico e al livellamento verso il basso in una società totalitario-consumistica. Un uomo coraggioso e indipendente, fedele alla dignità dell'uomo e alla sua forza morale e soprattutto amante della libertà.
Riportiamo qui alcune poesie della sua ultima raccolta "Epilogo del temporale",tradotte in lingua italiana.

A Marco Aurelio
Al prof. Henryk Elzenberg

Buonanotte Marco spegni il lume
e chiudi libro Già alto si leva
l'argenteo allarme delle stelle
il cielo parla con lingua straniera
è il barbaro grido del terrore
che il tuo latino non conosce
è la paura l'eterna oscura paura
ora batte sulla fragile terra

umana E vincerà Odi il rombo
è la marea Distruggerà i tuoi
libri l'inarrestabile fiumana
e del mondo crolleranno i muri
quanto a noi - tremare al vento e
di nuovo smuovere ceneri aria
morder le dita dir parole vane

perciò Marco sospendi la tua quiete
dammi la mano sopra la tenebre
lascia che essa tremi quando il cieco
universo picchia sui cinque sensi
ci tradiranno universo astronomia
computo di stelle saggezza d'erbe
e la tua grandezza troppo immensa
e il pianto mio impotente o Marco



Due profeti. Prova voce


Dalla bianca tribuna
di batuffoli cuscini piumini
parlo in lingua bebe
all’umanità (non tutta)
il resto dell’umanità
ascolta – non ascolta – dimentica –

così prese a battere
candida sorgente del vilucchio
mostruosa sorgente dello sterminio

due profeti – prova voce

allora allora
non ritornerai al felice volto della mela
ai bianchi giardini quietamente ardenti
fluidi spazi
temete l’eruttazione della tempesta

rumori nel guardaroba

o Rapallo repubblica adultera
scintillano le spade
città dal capo di ratto


Detti la parola

ero molto giovane
e il buonsenso suggeriva
di non dare la parola

potevo dir benissimo
ci rifletto ancora
niente fretta
non è mica un orario delle parternze

darò la parola dopo la maturità
dopo il servizio militare
quando costruirò una casa

ma il tempo esplose
non ci fu un prima
non ci fu un dopo

nell’accecante ora
bisognava scegliere
quindi detti la mia parola

la parola–
un cappio al collo
parola suprema

di rado nei momenti
quando tutto diventa leggero
passa in trasparenza
ripenso:
“do la parola
molto volentieri
ritirerei quella parola”

ma dura poco
ecco ché – scricchiola l’asse del mondo

passano le persone

i paesaggi
i variopinti cerchi del tempo
la parola data invece
incastrata nella gola