La fine delle passioni

In un epoca dove l'umanità, forse per la prima volta nella sua storia, ha raggiunto (o almeno si sperava l'avesse fatto) ciò che i nostri antenati hanno cercato di ottenere versando il sangue, sacrificando enormi masse di vittime in nome della patria, della sovranità e della libertà; in un epoca dove finalmente, dopo le dure lezioni di storia di guerre, rivoluzioni, ideologie, illusioni e disillusioni, l'uomo ha ottenuto il culmine delle proprie aspirazioni, ovvero la Libertà e la Democrazia. Chi altro se non l'uomo di oggi, istruito, intelligente e ricco di esperienza di vita, di politica e di cultura è in grado di gestire il patrimonio culturale che porta sulle proprie spalle...?! Eppure, i versi delle "Ultime lettere di J.Ortis", protagonista del primo romanzo della letteratura italiana, volto a risvegliare quella passione di amore e libertà che sembrava essere scomparsa dalla coscienza delle persone, in un momento dove si decidevano le sorti della futura nazione... Jacopo Ortis, colui che più di duecento anni fa decise di liberarsi dal peso che porta seco lo scontro tra "volontà forte e nullità di potere", colui che morì per la passione denunciando coloro che preferirono chiamarsi "traditi", invece che vinti, ma soprattutto denunciando la mancanza di una consapevolezza civile...ecco proprio i suoi versi sembrano essere più che mai attuali e pesanti sulle nostre coscienze addormentate. In questo senso, perciò, all'interno di una società che somiglia sempre di più ad un corpo disanimato, spento, immobile, la presenza delle passioni è sintomo di movimento e di vita, di sviluppo e di tensione. Per illuminare le nostre menti e capire meglio cosa hanno significato avvenimenti come le grandi rivoluzioni, il romanticismo, e per fino il movimento del '68, e soprattutto a cosa sono serviti e a cosa potranno servire in futuro questi "risvegli", riportiamo qui un articolo apparso recentemente sul "Corriere della sera", scritto da Silvia Vegetti Finzi.
Da sempre le passioni hanno rappresentato il modo più efficace per organizzare e rappresentare le pulsioni erotiche aggressive dell'umanità. Nella cultura classica le divinità olimpiche impersonavano l'eccellenza delle passioni: nessuno era più iracondo di Zeus, più seduttorio di Affrodite, più geloso di Era. In verità non è mai esistita una società in cui le passioni non fossero controllate, limitate, contrastate da istanze antipassionali come la religione, la morale, l'educazione, le usanze e i costumi, per cui la civiltà, come sostiene Freud, è strutturalmente conflittuale. Le modalità con cui si governano le passioni variano a seconda delle epoche e dei luoghi. La più efficace sembra quella che ne inibisce, non solo espressione, ma persino la rappresentazione mentale, rendendole impensabili. E' significativo che la morale cattolica, processando l'intenzione stessa, consideri peccati anche le trasgressioni che avvengono sotto forma di pensieri, parole ed omissioni. Al posto delle passioni rimosse subentrano allora sentimenti, stati d'animo molto più vivibili e socialmente gestibili. Come mostra il teatro classico, le passioni sono improvvise, clamorose, eccessive, coinvolgono il corpo e la mente, richiedono di essere testimoniate e partecipate, raggiungono un climax per poi spegnersi nella catarsi, cioè nella purificazione delle loro componenti distruttive. Possiedono comunque una potenza distruttiva per cui, dopo, nulla rimane più come prima. Di contro i sentimenti sono sommessi, durevoli, talora privi di ogni coinvolgimento somatico, come quando si ascolta la melodia o si ammira un tramonto. Possono essere vissuti in solitudine, non chiedono necessariamente la presenza degli altri, non mirano a sovvertire gli equilibri interni o esterni. Come tali sono più idonei a una "folla solitaria" anonima, omologata e tecnicizzata come quella contemporanea.
Mentre l'Ottocento - che si apre allacciando amore e morte nel Werther di Goethe - ha messo in scena le passioni morali, il Novecento è stato il grande teatro delle passioni politiche.
Ora le une e le altre sembrano spente. I romanzi sono stati sostituiti dalla letteratura minimalista, l'opera lirica è diventata un reperto storico, la politica ha lasciato il passo all'amministrazione della cosa pubblica. Tuttavia il potenziale passionale rimane intatto, racchiuso nella mente e nel corpo in attesa di obiettivo che lo mobilitino, di figure che lo animino, di rapporti che lo condividano. Come utilizzarne le energie trasformative, le capacità creative? Poiché l'uomo non può, come Dio, creare dal nulla, occorre vi sia un ordine precostruito - un modello, una forma, un codice, un sistema - dalla cui destrutturazione possa sorgere un ordine differente, un figura originale, una nuova presenza nel mondo. Ma la tarda modernità è, in tutti i campi, così disgregata e informe da scoraggiare gli atteggiamenti di negazione, di rivolta o di sfida. Ove tutto si equivale, come è possibile mutare l'esistente? I nonni di oggi, la generazione che "ha fatto il '68", voleva cambiare il mondo, i loro nipoti si accontentano di cambiare il vecchio cellulare con l'ultimo iPod. La meta si è immiserita ma la determinazione e lo slancio sono i medesimi. Soltanto che le passioni sono state dirottate sull'avere e l'apparire attraverso immagini suggestive che si sottraggono al giudizio e alla critica. All'adolescente che chiede "come devo essere?" si risponde "così", ricorrendo alla suggestione piuttosto che all'argomentazione. Poiché i riferimenti ideali risultano per definizione irrealizzabili, i ragazzi si confrontano con sentimenti di inadeguatezza ai quali cercano di reagire con comportamenti euforici o rinunciatari, in ogni caso incapaci di conferire senso e valore alla vita. Siamo nell'epoca di quelle che Spinosa chiamava "passioni tristi", contraddistinti da un malessere opaco, da un senso di inutilità e di impotenza che riflette l'appannamento del futuro. Privo di attese di salvezza e di felicità, il domani appare una minaccia piuttosto che una promessa capace di orientare il cammino verso l'età adulta. Infranti gli stampi della tradizione, venuti meno gli esempi edificanti dei santi e degli eroi, l'esistenza richiede a ciascuno di sfuggire all'assedio degli stereotipi e alle lusinghe dell'esibizionismo con il gesto creativo di farsi "narratore della propria vita". Ma senza una circolazione vitale di idee e di emozioni la creatività non si accende e il gesto creativo ricade inerme ancor prima di mettersi in gioco. Da dove cominciare a prendere parola? Sappiamo che qualsiasi racconto ne ne prosegue uno precedente e, poiché non esiste un inizio assoluto, ogni prima volta è sempre un'altra volta. Per questo mi sembra importante affiancare, alla dominante comunicazione per immagini, la trasmissione di racconti, di storie di vita vissuta, allacciando tra le generazioni il filo di un discorso che veicoli emozioni oltre che dati e informazioni. Se non vengono tradotte in parole condivise, le esperienze passate precipitano nell'insignificanza e nell'oblio mentre la "volontà di dire", per usare una bella espressione di Mario Luzzi, mantiene un canale comunicativo che aiuta l'individuo a uscire dalle strettoie del narcisismo dell'egoismo proprietario, fondato sull'Io e sull'Mio. Il passaggio del testimone da una generazione all'altra consente ai ragazzi di sentirsi membri di una comunità che non è solo fuori ma anche dentro di loro, protagonisti di una storia che conclusa e di un futuro che deve essere ridisegnato ricominciando dal punto in cui il discorso si è interrotto e le passioni, come gli dei, hanno abbandonato il mondo.