L'immigrato Joyce

di GIOVANNI MARIOTTI - Corriere della sera
Al contrario di inglesi e francesi, siamo pochissimo accoglienti verso gli stranieri (ce ne sono, e ce ne saranno sempre di più) che scrivono in italiano. Li consideriamo corpi estranei. Non è una novità. Viene in mente il caso di un immigrato che, dopo aver scritto per cinque anni quasi esclusivamente nella nostra lingua e collaborato intensamente a un giornale di provincia, a trent'anni si sottopose a un esame per essere abilitato a insegnare nelle scuole secondarie. Esame che ebbe luogo a Padova, dal 24 al 30 aprile 1912. Numerose le prove, fra cui un dettato in lingua inglese. Due mesi più tardi il Consiglioo superiore della Pubblica Istruzione dichiarò che l'esame non era valido perché il titolo ottenuto dal candidato nel Paese d'origine non era "equipollente" a una laurea italiana. L'immigrato scelse altri Paesi e smise di scrivere in italiano. Il suo nome (che, senza quella decisione burocratica, forse oggi onorerebbe la nostra letteratura) era James Joyce.